Skip to main content

Insonnia: il cattivo riposo che influenza la vita.

Insonnia: il cattivo riposo che influenza la vita.

Insonnia: il cattivo riposo che influenza la vita.

L’insonnia, è uno dei tantissimi disturbi del sonno ed è il più diffuso. In Italia, si stima che un adulto su quattro abbia patito un disturbo del sonno, sia esso passeggero o cronico. Gli studi confermano inoltre che a soffrire maggiormente di insonnia sono le donne.

Dormire non significa soltanto abbandonarsi al regno dei sogni dove tutto è possibile, ma è UN PROCESSO RISTORATIVO, IMPORTANTE PER IL BUON FUNZIONAMENTO DEL SISTEMA IMMUNITARIO, DELLE FUNZIONI METABOLICHE E DEL RECUPERO FISICO.

Il sonno sembra rappresentare una sorta di compromesso evolutivo per avere cervelli adattabili e capaci di apprendere continuamente nuove informazioni e abilità. Solo quando dormiamo, il cervello, in assenza di stimoli esterni, può valutare le informazioni apprese nel corso della giornata, eliminando quelle meno importanti e consolidando quelle rilevanti, facendo così spazio per l’apprendimento di nuove memorie il giorno seguente. Esso ha dunque una funzione fondamentale sia per la salute fisica che per la salute psicologica.

La deprivazione di sonno

Secondo l’OMS (2019) la deprivazione di sonno è associata ad un aumento dei rischi di malattie cardiovascolari, depressione e sindromi da stress cronico in grado di compromettere il funzionamento cognitivo, influenzando le capacità decisionali e la produttività professionale. Di conseguenza, sul lavoro o a scuola ci si può muovere in modo non pienamente gratificante e, a lungo andare, anche i rapporti dell’insonne possono andare incontro a un lento logoramento. Può essere forte l’impatto sulla vita familiare e sociale, limitando la possibilità di entrare in relazione ed esponendo così a isolamento e umore orientato in senso depressivo.

“Una mancanza cronica di sonno ha un impatto diretto sulla capacità di una persona di gestire le attività quotidiane che, nel tempo si manifesta con un senso opprimente di stanchezza fisica, malessere, compromissione della cognizione e diminuzione del benessere” (Haack, 2005).

Abraham Maslow pone il sonno alla base della piramide dei bisogni fisiologici primari dell’uomo, insieme a respirazione, alimentazione, sesso, omeostasi.
I due processi fisiologici del sonno:

Processo legato all’accumulo di Adenosina durante il periodo di veglia che agisce come un segnale di fatica, aumentando la pressione omeostatica del sonno. Ovvero, l’adenosina inibisce i neuroni che promuovono la veglia in aree specifiche del cervello e, tale inibizione riduce progressivamente il livello di attivazione, favorendo la sonnolenza. L’adenosina viene poi gradualmente degradata contribuendo al ripristino dello stato di veglia.

Il secondo processo è legato all’attività del nucleo soprachiasmatico, l’indicatore circadiano principale che regola i ritmi biologici. Esso riceve i segnali luminosi dalla retina e modula la propria attività, inibendo o stimolando la produzione di melatonina da parte della ghiandola pineale. Durante il giorno, l’esposizione alla luce inibisce la produzione di melatonina. Di notte invece, in assenza di luce, il nucleo soprachiasmatico riduce la sua inibizione sulla ghiandola pineale favorendo la secrezione di melatonina.

L’impatto della perdita di sonno sulla regolazione emotiva, negli ultimi anni, è diventato oggetto di forte interesse dal momento che quasi tutti i disturbi psicologici si manifestano sempre con anomalie del sonno. Ciò allora suggerisce una stretta relazione tra sonno ed emozioni.

Gli studi dicono che la perdita di sonno amplifica le emozioni negative come rabbia, ansia e stress, gli stimoli neutri vengono percepiti in modo più negativo, mentre le emozioni positive diminuiscono con conseguente aumento dell’impulsività.

Le capacità di coping e resilienza

Ridotte anche le capacità di coping e resilienza, cioè le abilità necessarie a superare le avversità e far fronte agli stress emotivi.

Le difficoltà a dormire sono implicate in una vasta gamma di espressioni psicopatologiche, in particolare nella depressione e nell’ansia, che entrambe includono, come sintomo, almeno un disturbo del sonno. Si potrebbe allora pensare che, trattando efficacemente un disturbo dell’umore, dovrebbe migliorare anche il disturbo del sonno. Le evidenze scientifiche suggeriscono che questo non avviene necessariamente.

È invece dimostrato che il trattamento dell’insonnia, in particolare con interventi cognitivo-comportamentali, migliora la condizione di pazienti con depressione.

Chi soffre di insonnia vedendo sfumare la possibilità di un riposo completo e appagante è esposto inoltre ai rischi di burnout professionale per la diminuzione di concentrazione, la possibilità di errori e la ridotta produttività complessiva.

Cosa accade nella mente dell’insonne?

Si verifica un’associazione negativa in cui il letto diviene un segnale di ansia e frustrazione e la persona sperimenta una crescente preoccupazione per il sonno. Avviene una iperattivazione cognitiva in cui sopraggiungono pensieri disfunzionali che contribuiscono all’ansia anticipatoria: “Non dormirò nemmeno stanotte”, “domani sarò esausto”.

Si manifesta un’attivazione fisiologica con aumento della frequenza cardiaca, tensione muscolare ed un aumento di cortisolo, incompatibili con l’addormentamento ed un persistente stato di vigilanza.
Tutti questi aspetti hanno effetti negativi sul sonno a causa di un eccesso di controllo su di esso, Infatti lo sforzo attivo compiuto per addormentarsi, aumenta la frustrazione e peggiora l’insonnia.

Quali sono le cause dell’insonnia?

Secondo lo psichiatra e psicoanalista Carl Gustav Jung, questo disagio è sintomo di una frattura tra la coscienza e il proprio mondo interno: il paziente, incapace di lasciarsi andare al sonno e quindi penetrare nel regno dell’inconscio, si difende attraverso uno stato di veglia. Un’altra ipotesi proposta risiede nel fatto che talvolta, il tempo diurno è talmente saturo di occupazioni, che la mente elabora il pensiero che, la notte, rappresenti l’unico momento per pensare a sé, frenando la capacità di prendere addormentarsi.

Con gli anni, grazie anche a diversi studi, si è giunti alla conclusione che non esista solo una causa in grado di generare questo disturbo. I fattori possono essere molteplici e variano in base all’età e alle diverse fasi della vita, ma in genere sono di due categorie:

  1. Cause organiche: non dormire, o dormire male può essere causato anche da fattori prettamente fisici, come un’eccessiva pressione arteriosa, varie malattie cardiovascolari, asma e patologie respiratorie ostruttive di diverso genere, obesità, reflusso gastroesofageo, disfunzioni della tiroide. L’indagine clinica deve essere molto accurata ed integrare esami strumentali e valutazione clinica, dal momento che è necessario individuare l’indagine appropriata in relazione al disturbo clinico.
  2. Cause psicologiche: le radici di un disagio spesso affondano in una problematica che tentiamo di tenere lontano dal nostro livello di coscienza. L’ansia inoltre, gioca un ruolo determinante nella mente di chi soffre di insonnia, proprio come una forma di depressione più o meno intensa (anche se in questo caso i sintomi potrebbero essere opposti, cioè il dormire eccessivamente) può rendere molto difficile il riposo, per non parlare poi di stress accumulato o di preoccupazioni date da cambiamenti nelle scelte di vita.

L’INSIEME DEI DATI SCIENTIFICI, METTE IN EVIDENZA CHE L’INSONNIA O COMUNQUE LE ALTERAZIONI DEL CICLO SONNO-VEGLIA, NON DEVE ESSERE SOTTOVALUTATA E TRATTATA CON TERAPIA SINTOMATICA, ma va INDAGATA NEI SUOI RISVOLTI DI SOFFERENZA PSICOLOGICA, NELLA STORIA PERSONALE E FAMILIARE DELLA PERSONA CHE NE SOFFRE.

Nel caso in cui l’insonnia derivasse da un disagio psicologico e questo, la persona che cerca di combatterla lo avverte, l’idea di intraprendere un lavoro di psicoterapia, rappresenta una buona strada nella ricerca delle premesse che possono avere generato il disturbo.

Il terapeuta

Il terapeuta si porrà in ascolto e dialogo nell’individuare le cause stressanti che conducono al non dormire al fine di arginarne il disagio e restituire tranquillità al paziente.

In particolare, l’intervento cognitivo-comportamentale risulta essere quello di elezione per il trattamento dell’insonnia cronica. Basato sui principi della teoria CBT-I mira a modificare i pensieri disfunzionali e i comportamenti maladattivi che perpetuano l’insonnia. Gli studi hanno inoltre dimostrato l’efficacia di questo tipo di intervento nel migliorare la qualità del sonno, ridurre i sintomi con benefici a lungo termine superiori ai trattamenti farmacologici.

Per colloqui e informazioni, contattami QUI!

Potrebbe interessarti anche